A dimostrarlo i risultati di uno studio condotto dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e l’Università di Genova: una metanalisi di 17 diverse sperimentazioni cliniche che hanno confrontato l’efficienza dei trattamenti immunoterapici e chemioterapici in diversi tipi di tumori solidi.

Da Genova arriva un’importante notizia per chi affronta alcune forme di tumore: oltre che assicurare una sopravvivenza più lunga, l’immunoterapia permette ai pazienti oncologici di mantenere invariato il loro stile di vita per maggior tempo rispetto alla chemioterapia. Questo è possibile perché, anche quando non fa rimpicciolire la massa tumorale, il trattamento immunoterapico ne impedisce la crescita. Lo studio condotto dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e dall’Università di Genova è stato di recente pubblicato sull’importante rivista European Journal of Cancer.
 
<<Le cellule neoplastiche possono replicarsi indisturbate perché producono alcune proteine che, come degli interruttori, riescono a spegnere il sistema immunitario - spiega Andrea Boutros, coordinatore dello studio insieme a Francesco Spagnolo, entrambi medici in forze all’Unità Operativa di Oncologia Medica 2 del San Martino - Su questo meccanismo si basa l’immunoterapia con farmaci noti come "inibitori dei checkpoint immunologici", che disinnescano le "proteine interruttore" prodotte dal tumore e riattivano il sistema immunitario contro le cellule del cancro>>.
 
<<Il progetto ha messo insieme e analizzato i risultati di 17 sperimentazioni cliniche, che avevano coinvolto oltre 8.000 pazienti tenuti sotto controllo per una media di 21 settimane - aggiunge Francesco Spagnolo - In particolare, i lavori passati in rassegna avevano l’obiettivo di confrontare l’efficacia di diversi farmaci inibitori dei checkpoint immunitari rispetto alla chemioterapia nel trattamento di diversi tipi di tumore: il cancro del polmone non a piccole cellule, il melanoma, il carcinoma squamoso della testa e del collo, il carcinoma uroteliale, il carcinoma renale, il tumore al seno e il tumore dell’esofago>>.
 
<<Lo studio si è focalizzato sul cosiddetto deterioramento clinico, un indicatore della qualità di vita che il paziente stesso riferisce al medico curante - riprende Boutros - potremmo dire che è il momento in cui una persona passa dal sentirsi una persona che, se pur affetta da tumore, è ancora in grado di condurre una vita senza particolari limitazioni a quella in cui la malattia prende il sopravvento: magari non si riesce più a lavorare, non si ha più la voglia o la forza di uscire di casa, si comincia a perdere l'autosufficienza>>.
 
Conclude Spagnolo: <<L’immunoterapia ha già rivoluzionato la pratica clinica in passato perché riesce a rimpicciolire la massa tumorale; il nostro progetto ha dimostrato che, anche quando non intacca le dimensioni del tumore, il trattamento immunoterapico ha comunque la capacità di stabilizzare la malattia. A questi benefici si aggiungono i minori effetti collaterali rispetto a quelli riscontrati con la chemioterapia: il risultato è che i pazienti oncologici possono sopravvivere più a lungo e con una qualità di vita migliore, anche se con differenze a seconda del farmaco somministrato e del tipo di tumore trattato. Da oggi si apre un ulteriore capitolo nella ricerca oncologica per garantire ai pazienti di vivere più a lungo e nel modo migliore possibile>>.