La chemioterapia, percorso a cui molte donne con tumore al seno devono sottoporsi, ha diversi effetti collaterali, tra cui il rischio di infertilità con conseguente impossibilità di avere figli una volta terminate le cure. È possibile provare ad aggirare il problema ma ci sono numerosi dubbi sulla sicurezza degli approcci a livello oncologico, soprattutto perché è necessario stimolare le ovaie con ormoni prima dell’inizio dei trattamenti chemioterapici. Uno studio del San Martino ha dimostrato che sottoporsi alle tecniche di preservazione della fertilità non influenza la prognosi oncologica.

Una importante metanalisi, condotta dai dottori Luca Arecco ed Eva Blondeaux, e coordinata dal prof. Matteo Lambertini, tutti medici e ricercatori della Clinica di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e appena pubblicato sull’importante rivista Human Reproduction, giornale di riferimento della Società Europea di Riproduzione Umana ed Embriologia, ha evidenziato che stimolare le ovaie con ormoni aiuta le giovani donne colpite da tumore al seno a preservare la propria fertilità ed è sicura, non dimostrando alcuna conseguenza negativa sulla loro prognosi.
 
Tumore al seno: chemioterapia e infertilità
Molte donne con tumore al seno in stadio precoce devono affrontare un percorso chemioterapico. Tuttavia, la chemioterapia "intossica" le ovaie; infatti, per le pazienti che ricevono la diagnosi in età riproduttiva, una delle complicanze più temute a medio/lungo termine è l’infertilità con conseguente impossibilità di avere figli una volta terminate le cure.
 
Per evitare questa problematica, prima dell’avvio dei trattamenti oncologici, le giovani donne possono sottoporsi alle tecniche di preservazione della fertilità, tra cui la più comune è la crioconservazione ovocitaria, cioè il congelamento degli ovuli per permettere di salvaguardarli ed utilizzarli in futuro se non riuscissero ad avere una gravidanza spontaneamente. Questa tecnica però prevede una stimolazione ormonale di circa 10-15 giorni per poter garantire la raccolta del maggior numero possibile di ovociti. Nonostante questo approccio sia sempre più utilizzato, ci sono ancora alcuni dubbi sulla sua sicurezza, tanto che spesso alcuni medici e diverse pazienti tendono a rifiutarlo per paura che possa peggiorare la loro prognosi oncologica.
 
Lo studio
Luca Arecco ed Eva Blondeaux, insieme ad altri oncologi e medici italiani e internazionali specializzati nella riproduzione, hanno revisionato tutti gli articoli pubblicati finora riguardo a progetti sulla sicurezza delle tecniche di stimolazione ovarica per la crioconservazione ovocitaria prima dell’avvio dei trattamenti oncologici e sulle tecniche di riproduzione assistita al termine delle terapie stesse.
 
<<Nel lavoro sono stati inclusi studi portati avanti su un totale di 4.643 pazienti – spiega Luca Arecco – Dei 15 progetti analizzati, 11 hanno riportato dati di pazienti sottoposte a stimolazione ovarica per la conservazione della fertilità prima di iniziare la chemioterapia, le restanti 4 ricerche erano orientate alla valutazione della sicurezza delle tecniche di riproduzione assistita dopo il completamento dei trattamenti oncologici".
 
<<Dalle analisi è emerso che nel gruppo di donne con tumore della mammella che ha ricevuto tecniche di conservazione della fertilità prima dei trattamenti, non solo i casi di recidiva diminuivano, ma anche il tasso di mortalità era inferiore rispetto alle pazienti che non hanno effettuato queste tecniche di preservazione – aggiunge Eva Blondeaux – Inoltre, risultati simili sono stati dimostrati anche nelle pazienti con neoplasia che esprimeva i recettori ormonali, forme tumorali sensibili alla presenza di ormoni nel corpo e per la quale si avevano le preoccupazioni maggiori circa un possibile effetto negativo sulla prognosi oncologica>>.
 
<<I dati hanno dimostrato anche che le donne che sono state seguite con tecniche di riproduzione assistita al termine delle cure oncologiche avessero tassi di recidiva da neoplasia mammaria inferiori rispetto alle donne non esposte a tali procedure – conclude Arecco – In conclusione, possiamo affermare con maggior sicurezza che le tecniche di procreazione medicalmente assistita siano effettivamente sicure per le donne con tumore al seno e non provochino un aumento del rischio di recidiva; anzi questi dati danno maggiori speranze alle giovani donne che, al termine delle cure oncologiche, possono tornare ad avere una vita il più normale possibile e sottolineano l’importanza di riferire ai centri di procreazione medicalmente assistita tutte le pazienti interessate alla preservazione della fertilità prima di iniziare le cure oncologiche>>.
 
L’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino è considerato centro d’eccellenza a livello nazionale e internazionale nel campo dell’oncofertilità; grazie alla collaborazione tra oncologi e ginecologici iniziata diversi anni fa dalla prof.ssa Lucia Del Mastro (direttore della Clinica di Oncologia Medica) e dalla dott.ssa Paola Anserini (direttore dell’Unità di Fisiopatologia della Riproduzione Umana), è possibile offrire le tecniche di preservazione della fertilità senza ritardare i trattamenti oncologici.
 
Leggi l’articolo scientifico https://doi.org/10.1093/humrep/deac035